La rivincita di Manolo Blahnik

Vi prego aiutatemi, mi ha rubato i sandali di Manolo Blahnik”, urlava a squarciagola Carrie Bradshaw  in uno dei 94 episodi di Sex and the City, la serie tv più fashionable degli ultimi tempi.

Madre di tutte le influencer, l’eccitante show ha guidato e influenzato intere generazioni di donne nelle loro relazioni interpersonali e sentimentali e nel loro rapporto con gli abiti e la moda.  

Lo show trasformò la città di New York e le sue strade  in  vere e proprie passerelle di moda e  diede fama a brand come Manolo Blahnik, all’epoca conosciuto solo dalle nicchie di settore, le cui creazioni, a seguito della messa in onda degli episodi, divennero iconiche e bramate dal pubblico dei consumatori.

Sex and the City, però, non è soltanto responsabile delle tendenze costumistiche e relazionali dei millennial, ma altrettanto colpevole di aver provocato nel mercato cinese un utilizzo improprio  dell’identità del famoso stilista, costringendo l’azienda del calzolaio spagnolo a domare le normative cinesi in materia di marchi e difendere il suo nome e il suo brand in una battaglia legale che ha impegnato  l’azienda per ben 22 anni. .

Correva l’anno 2000 quando Fang Yuzhou, imprenditore e produttore cinese di calzature, cavalcando l’onda della serie tv, prese la strategica decisione di depositare prima dello stilista il marchio “Manolo Blahnik” presso l’ufficio competente cinese, immaginando e prevedendo che un agganciamento parassitario ai prodotti del calzolaio spagnolo gli avrebbe garantito una posizione privilegiata sul mercato  e, di conseguenza, un aumento di vendite e fatturato.

Siamo consapevoli che politiche economiche scorrette e comportamenti anticoncorrenziali di questo genere pregiudicano palesemente il mercato e il rapporto tra le parti  pertanto, sono, non solo rigorosamente sanzionate, ma altresì  inconcepibili da un punto di vista etico.

Secondo Ezra Pound, infatti, “non si può fare una buona economia con una cattiva etica”, ma è pur vero che  strategie e  cattiva etica hanno reso la Cina  la seconda potenza economica del mondo.

In effetti, una delle prime cose che gli economisti menzionano della Cina è che la sua economia è fondata sul sistema del “first to file”, che  tradotto significa  “chi prima arriva meglio alloggia”.

Seguendo questa politica e salvo rarissime eccezioni, i marchi registrati e utilizzati in Europa, Stati Uniti e Canada non godono di tutela in Cina, salvo che gli stessi non siano registrati nella Repubblica Rossa; ecco perché, chiunque deposita per primo un marchio in Cina ne diventa il legittimo proprietario, ostacolando a brand, soprattutto notori, l’entrata nel mercato cinese.

Logica vuole, quindi, che la rivendicazione del marchio da parte dell’imprenditore Fang Yuzhou venisse ritenuta dalle autorità giudiziarie cinesi legittima e forte, in quanto, per il principio del first to file, il deposito del marchio e la sua conseguente registrazione è avvenuta molto prima che l’azienda spagnola ne reclamasse i diritti per il suo preuso nell’altra parte del mondo.

Si può ben comprendere come le restrizioni legislative cinesi in materia di proprietà intellettuale  nel corso degli anni hanno reso aziende  del calibro di Manolo Blahnik inermi e impotenti  dinanzi ad agganciamenti parassitari ai  loro nomi e alle continue contraffazioni delle loro merci.

I depositi in malafede, i furti di proprietà intellettuale e le continue politiche anticoncorrenziali dei produttori locali degli ultimi anni hanno costretto il governo cinese ad intervenire con una serie di emendamenti che hanno radicalmente modificato la principale fonte normativa dei marchi,  la “Trademark Law of the People’s of China” ,  e le leggi sul copyright,  intensificando tutele e sanzioni.

Interventi normativi di questo tipo hanno consentito al re delle scarpe, non solo di vincere la vertenza contro l’imitatore cinese che gli aveva rubato l’identità dinanzi alla Corte suprema popolare cinese, ma di lanciare direttamente i suoi prodotti  sul mercato asiatico finora commercializzati tramite piattaforme terze. 

Un precedente giuridico che sicuramente permetterà a molte aziende attive nei settori Fashion e Food di difendersi dalla pirateria cinese.

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